“Road to Passatore” è una miniserie di interviste a donne che il 24 maggio 2025 si cimenteranno per la prima volta con la distanza di 100km. La loro gara obiettivo è la proprio la storica 100km del Passatore, quest’anno alla sua 50^ edizione.
Chi sono? Cosa le ha portate fin qui e come arrivano alla linea di partenza della 100km più amata d’Italia?
Questa è la storia di Sara Annichini.
Sara Annichini ha 32 anni, vive a Udine, ma le sue radici affondano nella campagna friulana, in un piccolo paese a venti minuti dalla città. Un’infanzia trascorsa tra i boschi e l’aria aperta le ha lasciato un’impronta profonda. “La vita in campagna, nei boschi e all’aria aperta mi ha lasciato un amore immenso per la natura e la vita semplice. Pratica.”
Di professione è docente di educazione fisica. Tifosa irriducibile del Milan, vegetariana per amore degli animali, appassionata di sport in tutte le sue forme. Ha un fratello, due nipotine.

Tutte le foto sono di Sara Annichini
Lo sport è sempre stato parte della sua vita. Non per obbligo, ma per scelta. “Ho praticato da piccola per tanti anni karate fino alla cintura verde. Mollai poi perché non era molto adrenalinico e stimolante.” Da lì, il passaggio ad altri sport è stato naturale: basket per molti anni, calcetto al liceo e poi anche in una squadra regionale. “Il mio primo amore è sempre stato il calcio, ma le squadre femminili all’epoca erano lontane e poche.”
Ha imparato anche a giocare a tennis da piccola, una passione che continua ancora oggi. “Nessuno mi ha mai costretto a fare sport, infatti ho sempre provato tutto anche quelli considerati ‘maschili’ come il calcio. La mia famiglia mi ha sempre lasciata libera. Anche di mollare e cambiare.”

La competizione è una spinta interiore. “Sono sempre stata molto competitiva negli sport, ma anche nei semplici giochi tra bambini (e anche ora da adulta). Non per forza per vincere quanto per l’idea di competere per qualcosa. Le partitelle o i giochi senza uno scopo mi annoiano, ho bisogno della sfida.”
La corsa è arrivata dopo.
[La corsa] inizia con le Spartan Race e poi mi fu ‘lanciata’ la sfida della 21km. Poi una cosa tira l’altra e l’obiettivo è sempre stato spostato sempre più in là.” Non si considera esclusivamente una runner: continua a giocare a calcio, va in montagna, in palestra, gioca a tennis. Eppure, la corsa ha un posto particolare. “È un aspetto importante però, in quanto mi permette di competere con me stessa in un mondo che, essendo ultra, diventa sempre più di nicchia. Ti permette di fare cose speciali e grandiose.”
L’ultramaratona sta arrivando e lo sta facenco per gradi. “L’alzare sempre di più l’asticella. Vedere fin dove si può arrivare.” La prima gara è stata la 58km del Lago Trasimeno. Un viaggio di cinque ore da Udine per immergersi in un’esperienza che ha confermato la sua inclinazione per le sfide. “Quel giorno per 10km ci fu un grosso temporale tale per cui temevo sospendessero la gara. E invece. In quel momento sotto la pioggia mi divertii molto e realizzai che quella era una vera e propria ultra anche per le condizioni.”
I momenti di difficoltà non sono mancati ma ha imparato ad affrontarle con lucidità. “Semplicemente ero consapevole che li avrei avuti e semplicemente camminai, bevvi coca cola, pensai a resistere e che non erano così gravi. Analizzai in maniera analitica la situazione (ho nausea? Ok coca cola. Passa) e accettai il fatto che a meno di infortuni gravi la mia non era una situazione tale dal ritiro. Era solo un mix di stanchezza.”

Il Passatore è il passo successivo, quasi inevitabile. “Un sogno, un obiettivo di vita che mi sono posta come l’Ironman. Due cose da fare assolutamente. Poi penserò a fare altre ultra.” Dopo la 58km, la 100km sembrava la naturale prosecuzione di quel percorso.
Non ha seguito un coach in senso stretto. “Tra amici ci siamo scambiati una scheda di un coach famoso. E l’abbiamo adattata al nostro passo e alle gare in programma. Senza troppo stress.” La preparazione è andata bene, anche se più impegnativa sul piano mentale che fisico. “La testa. Escludendo infortuni vari, l’unica cosa che ti fa fermare in una gara è la testa.” Prepararsi per mesi a una gara così lunga comporta sacrifici, rinunce, solitudine.
È mentalmente stancante pensare di uscire da soli per correre 30-40-50 km e diverse volte. Motivo per cui spesso mi son fatta affiancare negli ultimi km. Sapere che i weekend devi spesso dedicarli alla corsa, mentre a volte volevo andar a far altro o in montagna ecc. spesso lo feci. La corsa e la preparazione sono sì sacrificio e disciplina ma non devono diventare un peso.
Il ciclo mestruale, spesso ostacolo per molte atlete, per lei non è mai stato un problema. “Fortunatamente mai avuto nelle gare essendo regolare con la pillola e quindi anche programmabile.”

L’aspetto che la entusiasma di più del Passatore è entrare a far parte di una piccola élite. “Il fatto di entrare nell’olimpo dei 100kilometristi. Di essere una delle poche al mondo a fare queste cose (in %). E di essere l’unica che i miei amici conoscono ad averla fatta.” Le preoccupazioni, invece, sono pragmatiche: “Mi preoccupa il meteo e la fatica finale. Anche se sono abbastanza convinta di farcela.”
Il consiglio più prezioso ricevuto riguarda la gestione della gara, mentale e fisica: “Gestire la gara, il passo. Usare tutta la resilienza che ho.”
E l’arrivo se lo immagina nitidamente: “Braccia aperte, lacrime. La testa che ciondola in avanti a dire ‘sì, ce l’ho fatta’.”
Nel suo percorso ha trovato ispirazione anche durante la stesura della tesi di laurea, dedicata alla resilienza nelle discipline di endurance. “Marco Olmo, Michele Graglia, Francesca Canepa, e me stessa.” È rimasta colpita dalla determinazione di Canepa: “Ha una dedizione e tenacia incredibile… è consapevole di se stessa e ciò che può fare…”
Quando ha deciso il tema della tesi correva solo mezze maratone. Poi, quasi per caso, ha incontrato figure come Olmo e Graglia e ha cominciato a interrogarsi su come fosse possibile spingere il corpo umano oltre i limiti della scienza. “Una tesi che dimostrava come la scienza, fisiologia che avevo studiato in parte, non poteva spiegare come uno potesse correre l’UTMB e vincerlo a quasi 50 anni. O la Canepa che dopo 2/3 mesi già corre con il ginocchio operato. Le ultramaratone in qualche modo vanno a sovvertire le leggi della scienza.”
A chi le chiede cosa vuole trasmettere ad altre donne, risponde con chiarezza: “Che qualsiasi cosa è possibile se ti piace, hai costanza e vuoi fare qualcosa di speciale. In primis la motivazione però deve essere intrinseca.”
C’è anche una ferita che ha segnato il suo cammino. “Dal trauma-lutto (mia madre morì 8 anni fa) penso che sia scattato qualcosa a livello inconscio. Di essere capace a gestire una sofferenza enorme, che non si può spiegare. E di vedere la vita in maniera diversa, fatta di occasioni da prendere senza farsi troppi problemi.”