Emilia Kotkowiak, classe 87, scopre subito dopo la sua prima maratona che, per lei, la distanza regina non sarebbe stata affatto un traguardo ma l’inizio di un viaggio in un mondo chiamato “ultra”. Dal 2016 ad oggi, si è cimentata in corse dure e lunghissime come la Nove colli (202km) e la Ultra Trail Lago d’Orta (120km con 7300d+). Se tutto va secondo i piani, sarà sulla linea di partenza della Milano-Sanremo (285km in un’unica tappa). In questa intervista la conosceremo meglio e insieme scopriremo qual è la sua vera gara nel cassetto.

Raccontaci un po’ di te. Chi sei? Cosa fai?

Sono polacca e dopo aver preso laurea magistrale in letteratura, ho lasciato tutto e mi sono trasferita in Italia per amore. Sono felicemente sposata, mamma di un bambino di 7 anni e principalmente mi occupo della casa e della famiglia. Nel tempo libero sono personal trainer e ultramaratoneta per passione.

Come hai iniziato a correre e cosa ti ha portato verso l’ultramaratona?

Ho iniziato, come tante donne, con l’obiettivo di perdere peso dopo la gravidanza. Fin dall’inizio è stato un percorso di crescita interiore, ma non avrei mai immaginato mi potesse portare a correre queste lunghe distanze. Quando mio figlio ha compiuto un anno, ho corso la mia prima mezza maratona e da lì ho scoperto il mondo delle manifestazioni podistiche. Mi ricordo bene la sensazione che ho provato al traguardo della mia prima Maratona (Milano 2016): felicità, commozione si, ma soprattutto l’inaspettata convinzione che la maratona non fosse un traguardo ma solo l’inizio di un Viaggio chiamato “ultra”, come se avessi scoperto che il mio destino si trovava Oltre. Subito dopo è nato il sogno del Passatore.

lavarello
Emilia alla Lavaredo Ultra Trail
Tutte le  foto sono state concesse da Emilia

Hai partecipato a gare molto dure, come la Tuscany Crossing, la Lavaredo Ultra Trail, l’Utra Trail del Lago d’Orta, la Nove colli e tante altre. Quale delle gare che hai fatto ti è rimasta nel cuore?

Difficile sceglierne una. Ogni gara (soprattutto quelle oltre 50km) è diversa; in ogni gara io sono diversa e tutte regalano esperienze così profonde che davvero non saprei quale scegliere. Mi viene da rispondere che il traguardo più bello è quello non ho ancora raggiunto. Le gare sono per me come i libri: ci sono quelli che amo, che tengo in bella vista e che raccontano la bellezza della natura, panorami mozzafiato (Tuscany, Lavaredo), poi quelli che considero dei “capolavori” (Nove Colli, Campionessa IUTA di Gran Fondo 2019) e infine quelli che nascondo per paura del contenuto (UTLO).

Tuscany Crossing
Emilia alla Tuscany Crossing

A proposito dell’UTLO, in un intervista hai detto che hai avuto le allucinazioni. Che cosa hai visto e come hai reagito?

E’ normale che la stanchezza provochi allucinazioni, e l’UTLO mi ha portato all’estremo. 120km con 7300d+ e 28 ore di montagne e boschi sconosciuti, in gran parte in solitaria. Mi ricordo bene due momenti durante la gara: il primo in piena notte, alle porte di un paesino credo. Ho visto una bambina di circa 4-5 anni, coi capelli ricci e neri; aveva il viso illuminato dal telefonino che teneva in mano. Niente di spaventoso, anzi. Quando l’ho vista mi sono sentita felice, era per me un segnale di civilizzazione, ho pensato che forse mi stavo avvicinando al punto ristoro. Quando ho capito che era solo frutto della mia immaginazione, che non c’era nessuno e che in realtà era un’allucinazione, allora sì mi sono spaventata perché sembrava davvero così reale. Quando succedono queste cose inizi a pensare che forse non sei più in grado di distinguere la realtà dall’immaginazione, inizia ad avere mille dubbi e a pensare che magari è arrivato il momento di ritirarti. Più si perde la lucidità e più proseguire può diventare pericoloso, soprattutto in montagna.

La seconda allucinazione è invece capitata mentre correvo con un amico: ho visto una strada asfaltata che correva in parallelo al sentiero su cui ci trovavamo. L’ho fatta notare ad Alessandro dicendo che a breve ci sarebbe stato il ristoro; l’ho visto annuire e l’ho sentito incoraggiarmi e rispondermi che non mancava molto. Poco dopo mi sono accorta che l’asfalto non c’era più e allora ho chiesto al mio compagno dove fosse finita la strada. Ma lui non sapeva di cosa stessi parlando, perché in realtà nelle ultime ore non ci eravamo rivolti neanche una parola. Una volta arrivata al ristoro del 100esimo km ho deciso di fermarmi e dormine una ventina di minuti, perché altrimenti chissà cos’altro avrei visto nel bosco.

Di recente hai preso parte ad una 24h, la BiUltra a Biella. Era la tua prima volta. Che esperienza è stata per te?

Si, è stata la mia prima 24h su strada. Avevo già partecipato alle 6h e alle 12h che mi son sempre piaciute, ma girare su un circuito di 1km per 24h sembra una cosa assurda. Tuttavia mi sono trovata bene, e incrociando i tanti amici ultramaratoneti con cui ho condiviso questo viaggio le ore sono volate, senza noia. Perché sembra che si giri a vuoto e che il percorso sia monotono, ma secondo me tutto lo spettacolo ha luogo dentro di noi; bisogna lasciare libera la mente, ignorare il dolore delle gambe e accettare tutte le crisi come se fossero un dono che ci fa crescere. Dostoevskij diceva che la sofferenza è l’unica origine della coscienza e io credo molto in questo, anche se può sembrare incomprensibile: mi piace questo stato, quasi mistico, che si raggiunge dopo tantissimi chilometri. Ho fatto discretamente 145 giri e gli ultimi sono stati quelli più belli, giuro! Tant’è vero che il giorno dopo la Biultra ho deciso di iscrivermi alla 24h di Cinisello Balsamo, che si svolgerà a maggio.

Qual è la tua gara nel cassetto?

Ho un armadio intero pieno di gare che vorrei fare! E le farò, perché so che posso farcela e perchè ho la pazienza di aspettare. E’ un pensiero folle ma mi dà la carica necessaria per affrontare allenamenti e corse sempre più impegnativi. Quest’anno, se si ritorna alla normalità podistica, spero di partecipare alla Ultra Milano-Sanremo che si correrà a settembre e che attendo dallo scorso anno: ho una grande voglia di correre 285km in unica tappa. Ma il desiderio più grande è quello di partecipare alla Badwater (135 miglia nella Death Valley, California, n.d.r.) a cui spero di partecipare in un futuro non troppo lontano.

Badwater
Emilia e la Badwater

Le donne che corrono, e le donne che corrono le ultra, stanno aumentando di anno in anno, ma la percentuale rispetto agli uomini è ancora molto bassa. Secondo te perché? Quali sono gli ostacoli maggiori per le donne che vogliono intraprendere questo sport?

Secondo me l’ostacolo maggiore è la mancanza di tempo ed organizzazione. La maggior parte delle donne, secondo me, pensa che aggiungere la corsa a una vita frenetica, ai figli, alla casa e al lavoro sia troppo”. E’ molto raro, poi, vedere correre donne under 35 come me, magari coi figli piccoli. Ci vuole tanta passione e determinazione, testardaggine e sacrificio; spesso mi sveglio alle 4:00 per andare a correre e capisco che non tutti abbiano voglia di farlo. Ma c’è un detto: se vuoi avere quello che non hai mai avuto, devi fare ciò che non hai mai fatto. Allora mi alzo e corro.

Che impatto ha il ciclo sui tuoi allenamenti e gare?

Ciclo e corsa non vanno tanto d’accordo. Ho avuto più volte la sfortuna di averlo durante le gare (mi venne all’UTLO al 53esimo km), sicuramente porta ulteriore stanchezza, ma non soffro dolori particolari e di certo non è una cosa che mi può impedire di raggiungere un obiettivo, almeno finora non è mai successo.

Hai dichiarato di ispirarti a “persone normali” e hai nominato Calcaterra, Karnazes. Ci sono donne ultramaratonete italiane e non che ti hanno ispirato e/o continuano ad ispirarti?

Nonostante ci siano poche donne nel mondo delle ultra, quelle che ci sono hanno tutte una storia da raccontare. Quella che mi viene subito in mente, però, è Francesca Canepa, grandissima ultramaratoneta. Ho avuto l’onore di salire (dopo di lei!) sul podio alla 6h di Gaggiano, l’ho vista girare a Biella e vederla correre è davvero impressionante.