Giulia Vinco, 30 anni, veronese, ha di recente vinto la Chianti Ultra Trail (73km, 2700D+). Un’adolescenza segnata da disturbi alimentari e una giovinezza all’insegna del divertimento, fino a che una mattina, in vacanza, mette su le scarpe da corsa e si rende conto di sentirsi veramente se stessa. Non c’è da stupirsi se definisce quel momento come una rinascita. Ora è difficile fermarla. Giulia ci racconta un po’ di se in questa intervista.
Età: 30 anni
Dove vivi: A Sommacampagna, Verona
Dove sei cresciuta: Ho passato l’infanzia nelle campagne veronesi, per poi trasferirmi a Sommacampagna
Lavoro: Sono Team Leader del Customer Service in un’azienda di logistica nel settore food
Famiglia, figli, animali domestici: vivo ed amo stare sola, ma ho un rapporto di estremo amore nei confronti della mia famiglia e degli amici
Hai sempre fatto sport? Prima di scoprire la corsa, ho sempre evitato ogni tipologia di sport, essendo assolutamente negata per ogni disciplina sperimentata
Come hai iniziato a correre e cosa ti ha portato verso l’ultramaratona?
Ormai la storia del mio amore per la corsa è piuttosto nota. Tutto è nato durante un viaggio in Myanmar, indossando un paio di scarpe assolutamente inadatte e seguendo per la prima volta quella voce che da dentro urlava forte e mi chiedeva di spiccare il volo. Ciò che non riesco ancor bene a rendere, forse, è lo scatafascio, la rivoluzione, la ricostruzione, la rinascita che sono venute dopo grazie a quella prima corsa e a quel viaggio che mi hanno portata a dire “ ecco, Giulia, tu sei te stessa, sei ciò che provi mentre corri, sei il tuo respiro, sei i tuoi fasci muscolari che si contraggono, il tuo cuore che pompa, le tue vene che si dilatano… tu sei la crisi che sopraggiunge, ma anche la grande vittoria che arriva ogni volta che la superi”.
Diciamo che ogni giorno da quella mattina, io mi alzo prima dell’alba e per almeno due ore, percepisco il mio essere e mi ricordo che una volta rientrata nei miei abiti, non lo devo abbandonare.
Quale delle gare che hai fatto ti è rimasta nel cuore? Perché?
Senz’altro l’UTMB, perché sono stati i 170 km più consapevoli e gioiosi mai corsi nella mia esperienza. Quando partecipo a gare dove la gente sa chi sono e azzarda pronostici, aspettative, giudizi, mi sento pervasa dalla tensione e non riesco del tutto ad entrare in contatto con l’ambiente, il mio corpo e ciò che mi circonda. Spingo anche se non voglio, guardo i tempi e chi ho davanti. All’UTMB ero solo una piccolissima pedina in un mare di enormi personalità. E’ stata una liberazione!
Qual è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare e superare in una gara?
Sicuramente il Tor Des Géants mi ha letteralmente fatto sbattere la faccia contro la presunzione di giocare il ruolo dell’atleta d’élite senza sapere a cosa stavo andando incontro. Infatti, sulla diga del lago Varnio sono inciampata, ho sbattuto la faccia e mi sono rotta il mento. Prima di poter ricevere assistenza e farmi mettere dei punti, ho dovuto fare un bel pezzo a piedi fino al Col della Vecia vicino a Niel per aspettare il medico con l’elicottero. Fino a quel punto ero tra la prime cinque donne ma ho dovuto accettare il fatto che il podio era fuori discussione e che dovevo solo pensare a chiudere la gara.
E’ stato tutto molto difficile perché quando cominci a piangere anche il sonno ti massacra. Alla fine quello che mi faceva andare avanti era sapere che alle basi vita avrei visto le persone a cui volevo bene.
Quindi posso dire che trovarmi col mento rotto nel bel mezzo del nulla e sapere di dover lottare ancora per 200 km prima di arrivare, mi ha fatto capire che stavo sbagliando approccio. Ho dovuto rivedere tutta la mia concezione di correre un trail. Perché voler arrivare? Perché pensare solo a quel momento e desiderarlo con tanta ansia? Partire significa voler arrivare o forse voler vivere? E’ così che ho vinto la sfida: paragonando il percorso alla vita. Partire per il percorso, non per la destinazione.
Quale gara hai nel cassetto?
Al momento ho programmato la Lavaredo Ultra Trail (LUT) e la Courmayeur – Champex – Chamonix (CCC), ma ciò che di più grande ho nel cassetto è una serie di trail autogestiti da combinare ad iniziative territoriali, pandemia e limitazioni permettendo. Correre, visitare, conoscere e parlare con la gente, come ho fatto lo scorso anno, percorrendo in un giorno e una notte il Cammino delle Terre Mutate e abbinandolo all’iniziativa Keep Clean and Run a favore della raccolta dei rifiuti.
Hai un obiettivo ultimo che vuoi raggiungere nella tua carriera di ultrarunner?
Usare questo sport per aiutare, per trasmettere, per consolare chi ha la necessità di trovare sé stesso e vivere appieno.
Le donne che corrono, e le donne che corrono le ultra stanno aumentando di anno in anno, ma la percentuale rispetto agli uomini è ancora molto bassa. Secondo te perché? Quali sono gli ostacoli maggiori per le donne che vogliono intraprendere questo sport?
In realtà non penso che la vita sportiva delle donne sia più complessa di quella di molti uomini: conosco uomini che conseguono ottimi risultati sportivi, nonostante una vita molto impegnata. Penso molti criticheranno questa mia affermazione, ma spesso i limiti sono autoimposti. Figli e lavoro sono un grande impegno, ma conosco mamme attive quanto me e forse di più. Un grande esempio di positività, energia e gioia di essere donna è Chiara Boggio, neomamma turbo che mi entusiasma e mi dà speranza! Noi donne dobbiamo imparare a non sentirci diverse e a viverci al massimo senza pensare che la condizione di donna sia diversa o meno privilegiata!
Che impatto ha il ciclo sui tuoi allenamenti e gare?
Purtroppo soffro di amenorrea da molti anni e non mi vergogno di ammettere questa problematica. Durante l’adolescenza, tra i 14 e 15 anni, ho sofferto di disturbi alimentari che hanno compromesso l’intero ritmo del ciclo mestruale. L’avevo recuperato ma poi, allenandomi con l’intensità con cui mi alleno e avendo una vita molto impegnata il ciclo è scomparso di nuovo. Risolvere questo problema in ritardo è davvero molto più difficile di quanto sembri, soprattutto per chi, come me, rifiuta di seguire cure ormonali invasive. Posso dire che l’assenza di un ciclo naturale comporta spesso grandi disagi a livello energetico e di accumulo di liquidi e questo, in concomitanza con le gare, rischia di condizionarne il ritmo. A volte mi ritrovo con 5 o 6 kg di liquidi in più il giorno della gara: mi sento come un ippopotamo, ma cerco di godermela ugualmente e non farci caso.
Hai un’allenatrice/allenatore che ti segue?
Ci sto provando con molto impegno a farmi seguire, ma per me è davvero molto dura effettuare certe tipologie di lavori la mattina alle 4:30 a digiuno e la sera non riesco proprio ad allenarmi. Diciamo che sto iniziando a collaborare gradualmente con Sara Valdo per trovare la strategia più adatta ad una ribelle come me. La sua pazienza e comprensione mi fanno credere fortemente in lei.
Hai qualche talento nascosto, oltre la corsa?
Amo follemente scrivere: mi permette di fissare concetti che mi pervadono, di trasmettere e cogliere emozioni e di aiutare ed aiutarmi. La parola è un’arma invincibile ed ogni vocabolo ed espressione vanno pesati. Quando si comunica verbalmente spesso ci lasciamo andare ad espressioni che nemmeno percepiamo. Rileggendo quanto scritto, invece, possiamo capire noi stessi e comunicare con agli altri.
Dove ti vedi tra dieci anni?
Sogno nel cassetto o realtà? Mah… considerando tutte le volte che da un giorno all’altro ho sconvolto tutti i miei piani, sono felice e fortunata a poter dire: non lo so e non vedo l’ora di scoprirlo! La vita ci porta molte sorprese. Molte volte guardiamo a terra e ci troviamo a sbattere contro muri che sembrano distruggere tutto quello che abbiamo costruito. A volte possiamo decidere di scavalcarli. Altre ancora, con molta più forza, li demoliamo. Nulla accade per farci male. Tutto accade per plasmarci. Tra dieci anni so che avrò vissuto appieno e vorrò vivere ancora!