Intervista a Serena Sansalone, classe 1980, ultratrailer ligure. Se la seguite sui social, la vedrete spesso insieme a Francesca Billi con la quale ha creato un profilo Instagram il cui nome è tutto un programma: @atletesemiserie. E’ proprio così, infatti, che si definisce Serena.

Durante l’intervista, in cui ci ha raccontato un po’ della sua vita da ultratrailer, abbiamo toccato un argomento di cui si parla davvero molto poco: l’endometriosi.

Buona lettura.

Parlaci un po’ di te

Vivo a Recco, in provincia di Genova e sono cresciuta in un paese non molto lontano da qui, Sant’Olcese. Mi occupo di marketing e comunicazione e lavoro come Social Media Manager. Ho una figlia, Linda, di 6 anni e un gatto di nome Egg di 1 anno.

Hai sempre fatto sport?

Non sono mai stata una sportiva. Da piccola vivevo lo sport con molta difficoltà. Ero piuttosto sovrappeso e poco agile. Ho ancora oggi l’incubo del famoso quadro svedese nelle palestre scolastiche, non riuscivo ad attraversarlo. Per non parlare del nuoto, sono ancora oggi un pesce scoglio. La bicicletta però era il mio mezzo preferito e camminare non mi dispiaceva affatto.

Come hai iniziato a correre e cosa ti ha portato verso l’ultramaratona?

Per puro caso. Era primavera e stavo salendo verso il Forte Diamante in modalità escursione lenta; ad un certo punto vengo sorpassata da un ragazzo con una t-shirt bianca di cotone un pantaloncino azzurro che stava correndo in salita, anzi, stava volando. Ho pensato che effettivamente avrei potuto provare anche io a correre un po’ per raggiungere il Forte. Da allora ho iniziato il mio cammino sempre a passo più svelto su e giù per i Forti di Genova prima e per l’Italia dopo.

Ho iniziato con 3 km e quei 3 km erano davvero infiniti; li raggiungevo e poi rientravo a passo lentissimo con dolori in parti del corpo di cui non conoscevo neppure l’esistenza e quella voglia apparente di non ripetere l’esperienza. In realtà la corsa in natura è stata ed è la mia compagna di vita più importante.

Serene all'arrivo del Trail Rensen

Tutte le foto sono di Serena Sansalone

Faccio un passo indietro: quel ragazzo che stava volando verso il Forte Diamante è uno dei più grandi atleti e delle più belle persone che io abbia mai incontrato in vita mia, Robi Pitta, Il Pitta, con il quale ho poi stretto un’amicizia. Il Pitta mi ha insegnato molto; non parlo di tecnica parlo ma di un qualcosa che va oltre e che è anche difficile da spiegare a parole; parlo di condivisione, rispetto per la natura, per i compagni di viaggio. Mi ha insegnato che la fatica è fatica ma se l’affronti con il sorriso, sarà sempre una fatica differente; che ogni allenamento o gara devono lasciare un qualcosa di buono, perché c’è sempre del buono che va oltre il puro risultato. Le Ultra sono arrivate senza una pianificazione specifica; si sono presentate nella mia vita per mettermi un po’ alla prova, per darmi la possibilità anche di riscattarmi da quell’adolescenza a tratti un po’ in salita.

Quale delle gare che hai fatto ti è rimasta nel cuore? Perché?

21 marzo 2010: Trail di Santa Croce. Il mio primo Trail, in condizioni meteo un po’ bizzarre: freddo grandine, una lotta continua con il fango, un viaggio sui monti di casa, un’emozione infinita da cui ancora oggi attingo energia quando in gara o in allenamento affronto i momenti “no” che richiedono di spostare l’attenzione verso i momenti “si”.

serena in allemento guarda in alto

Qual è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare e superare in una gara?

Gran Trail di Valdigne 2010. Ho tentato la 100 km ma a Col d’Arp non stavo bene, mancavano circa 20 km alla fine, mi usciva sangue dal naso e avrei dovuto affrontare altri 20 km di notte, a malincuore mi sono ritirata ma anche il ritiro caratterizza la mia persona; ne ho affrontati diversi ed ogni ritiro mi ha insegnato qualcosa, mi ha fatto prendere atto di alcuni miei limiti e mi ha dato l’input per definire nuovi obiettivi (più misurabili). Nel mezzo delle mie “imprese“ ho affrontato un’operazione per via dell’endometriosi, una gravidanza, due operazioni al menisco destro, ho scoperto di avere una malformazione congenita al cervelletto (Sindrome Arnold Chiari) che non mi preclude la corsa, per fortuna, e che non mi da grossi problemi. Ho avuto qualche “acciacco”.

Quale gara hai nel cassetto?

Per quest’anno ho “pianificato” il Cro Trail Wild, da Limone ad Airole-Ventimiglia

Hai un obiettivo ultimo che vuoi raggiungere nella tua carriera di ultrarunner?

Sono sincera, non mi sento una vera atleta, sono un’atleta semiseria, così come condiviso con la mia grande amica Francesca Billi, con la quale abbiamo da poco aperto un profilo IG sul tema @atletesemiserie. Ma ho un piccolo conto aperto con il Gran Trail Valdigne, non escludo quindi di capitare un giorno nuovamente sulla 100 km del GTC.

Le donne che corrono, e le donne che corrono le ultra stanno aumentando di anno in anno, ma la percentuale rispetto agli uomini è ancora molto bassa. Secondo te perché? Quali sono gli ostacoli maggiori per le donne che vogliono intraprendere questo sport?

Ci vuole molto tempo per preparare gare di un certo tipo, la passione e la buona volontà da sole non bastano. Non sempre è facile riuscire ad incastrare, lavoro famiglia.

Serena cammina con in bastoncini 21

Che impatto ha il ciclo sui tuoi allenamenti e gare?

Un forte impatto, soffro di endometriosi, una patologia multifattoriale complessa che consiste nell’insediamento e nella crescita fuori sede di tessuto endometriale. Questa patologia ancora poco conosciuta e sottodiagnosticata, mi causa dolore ovarico, dolore lombare, a tratti stanchezza cronica e provoca sintomi tipici dell’intestino irritabile. Io però sono fortunata perché riesco a gestirla, monitorando con cadenza semestrale la situazione.

Cosa monitori esattamente e cosa fai di concreto per gestire questa patologia e i dolori che l’accompagnano?

 

Monitoro quanto cresce la presenza di endometrio al di fuori della cavità uterina. Di fatto tengo sotto controllo le dimensioni. Ci sono diversi stadi di endometriosi e in quelli più avanzati diventa praticamente impossibile fare attività fisica. Io posso ritenermi fortunata perché ho avuto una diagnosi precoce e, poi, grazie ad un intervento, sono ad uno stadio medio e anche se oggi si è ripresentata non è per me invalidante. Ma prima dell’operazione avevo smesso di correre e non è stato un periodo facile sotto tanti aspetti. Tra l’altro, dopo l’operazione cambia il fisico perché i farmici ti fanno gonfiare l’addome.

Per gestire al meglio la patologia faccio yoga pelvico e respirazione e quando so che sono vicina all’ovulazione rallento con allenamenti

Serena pensosa mangia la focaccia
Hai un’allenatrice/allenatore che ti segue?

Nessuno ha il coraggio! Scherzi a parte, no, non ho nessun allenatore che mi segue direttamente ma ho la fortuna di correre per la Ergus Trail Team e posso interfacciarmi con una squadra di professionisti sempre pronti e disponibili. Ultimamente ho avuto anche la possibilità di allenarmi con le giovani leve della società, un’emozione straordinaria; sono ragazzi e ragazze molto bravi sia nella performance che nella capacità di inclusione.

Hai qualche talento nascosto, oltre la corsa?

Si, sono capace di ascoltare e “ci vedo lontano”. Il trail running mi ha insegnato che lungo il sentiero così come nella vita ci sono molte insidie. Ci sono tratti che si possono saltare a piè pari così come si deve fare con le persone opportuniste e maligne. Ci sono sentieri in alcuni casi non ben segnalati e magari si perde la traccia per un po’ di metri, così come accade in alcune fasi della vita, quando si hanno dei dubbi e c’è la necessità di fermarsi e ragionare. Ci sono ritiri e ripensamenti. Ci sono traguardi dove l’arco gonfiabile è ancora presente e altri traguardi dove non c’è l’arco ma si è comunque arrivati.

Dove ti vedi tra dieci anni?

Non me ne volere ma vivo così tanto il presente, il qui ed ora, che non riesco davvero a dirti dove sarò. Sicuramente avrò un paio di scarpe da trail ai piedi e della focaccia nello zaino.